Misurare l’impronta di carbonio significa rendere visibile ciò che normalmente resta nascosto nei processi aziendali: l’insieme delle emissioni di gas serra generate direttamente e indirettamente dalle attività di un’organizzazione o lungo il ciclo di vita di un prodotto, espresse in CO₂ equivalente. Un calcolo rigoroso della carbon footprint aziendale non è solo un adempimento tecnico ma una leva strategica per migliorare efficienza, competere nelle gare, dialogare con banche e investitori e allineare i dati clima al report di sostenibilità.
Questa pagina servizio ti guida in modo operativo e professionale, con un linguaggio chiaro, per impostare o migliorare il percorso di quantificazione, riduzione e rendicontazione delle emissioni, integrando in modo naturale termini ricercati come reporting di sostenibilità, impronta carbonica, Scope 1, Scope 2, Scope 3, ISO 14064-1, ISO 14067, PEF e Made Green in Italy.
Cos’è l’impronta di carbonio e perché oggi conta davvero
L’impronta di carbonio è la somma ponderata delle emissioni di gas serra generate da processi, consumi ed eventi riconducibili a un’azienda, a un prodotto o a un servizio. Il risultato si esprime in CO₂e per confrontare gas con diverso potere climalterante. A livello aziendale si parla di carbon footprint organizzativa, utile a fissare obiettivi e piani di riduzione coerenti con le priorità di business.
A livello di prodotto si parla di carbon footprint di prodotto, che segue i principi dell’analisi del ciclo di vita. Perché conviene occuparsene ora? Per tre motivi concreti. Primo, il mercato lo richiede: capitolati e qualifiche fornitore includono indicatori climatici, premiando chi presenta dati tracciabili e verificabili. Secondo, la finanza lo considera: molte banche integrano criteri ambientali nelle valutazioni del merito creditizio. Terzo, il bilancio di sostenibilità impone coerenza tra obiettivi, piani e risultati sui temi ambientali più materiali. Un inventario GHG robusto è la base per un rapporto di sostenibilità credibile.
Standard e quadri di riferimento: da dove partire per fare bene al primo colpo
Il riferimento più utilizzato per la carbon footprint aziendale è la norma ISO 14064-1, che stabilisce principi e requisiti per la quantificazione e la rendicontazione dei gas serra a livello di organizzazione. La norma guida la definizione del perimetro, la qualità dei dati, l’uso dei fattori di emissione, la gestione delle incertezze e la predisposizione della documentazione per una eventuale verifica indipendente.
Per i prodotti, lo standard di riferimento è ISO 14067, che fissa le regole per la carbon footprint di prodotto basata su analisi del ciclo di vita, in coerenza con ISO 14040 e ISO 14044.
Come cornice operativa trasversale si utilizza il GHG Protocol, che introduce la classificazione per Scope 1, Scope 2 e Scope 3 e definisce criteri, categorie e confini per una rendicontazione consistente e comparabile.
In ambito europeo, per alcuni settori e filiere è opportuno considerare anche il metodo PEF e il programma nazionale Made Green in Italy. Integrare questi riferimenti consente di scegliere il percorso migliore in funzione dell’obiettivo: inventario organizzativo, confronto tra design alternativi, etichettatura, gare o requisiti della catena di fornitura.
Chi deve misurare la carbon footprint e quando conviene farlo
Non esiste un obbligo generalizzato per tutte le imprese, ma sempre più soggetti richiedono numeri chiari e verificabili. Le aziende grandi o quotate sono spesso già organizzate per produrre un inventario GHG coerente con il report di sostenibilità. Le PMI non quotate non sempre hanno un vincolo normativo, ma ricevono pressioni dai clienti, partecipano a gare che prevedono punteggi legati a emissioni ed efficienza energetica e dialogano con banche che valorizzano la trasparenza sui rischi e piani di riduzione.
Conviene iniziare quando l’azienda si trova almeno in una delle seguenti situazioni:
- avvio di un piano di decarbonizzazione
- ingresso in nuove filiere che richiedono indicatori climatici
- valutazione di investimenti in tecnologie efficienti
- revisione dei contratti energetici
- lancio di un prodotto per cui la dimensione ambientale è un fattore competitivo
Per la carbon footprint di prodotto, la misurazione è utile nei processi di eco-design, quando occorre confrontare componenti e materiali alternativi, oppure quando il cliente chiede una dichiarazione conforme alla ISO 14067 o a regole PEF di categoria.
Scope 1, Scope 2 e Scope 3 spiegati in modo pratico
Per rendere comprensibile la complessità delle emissioni si utilizza la classificazione per Scope introdotta dal GHG Protocol.
- Scope 1: emissioni dirette, generate da fonti possedute o controllate dall’azienda, come combustori, caldaie, forni o flotte aziendali.
- Scope 2: emissioni indirette derivanti dall’energia acquistata (elettricità, calore, vapore) con calcolo location-based e market-based.
- Scope 3: tutte le altre emissioni indirette a monte e a valle della catena del valore. Le principali categorie riguardano acquisti di beni e servizi, capitale fisso, logistica, viaggi, rifiuti, uso dei prodotti venduti, fine vita e investimenti.
Un buon inventario non tenta di coprire tutto al primo colpo con la stessa profondità, ma priorizza le categorie in base alla materialità e costruisce una roadmap di miglioramento dei dati lungo più cicli annuali.
Come si calcola la carbon footprint aziendale: metodo operativo in 7 passaggi
Ma come si calcola la carbon footprint aziendale? Vediamolo di seguito in 7 passaggi.
1, Perimetro organizzativo e confini operativi
Chiarisci quali entità rientrano nell’inventario e secondo quale criterio di consolidamento: controllo operativo, controllo finanziario o quota di proprietà. Eviterai doppi conteggi e potrai confrontare i risultati nel tempo.
2, Mappatura delle fonti emissive per Scope
Costruisci l’elenco delle attività che generano emissioni dirette e indirette in ciascun sito o processo: impianti fissi, flotte, consumi elettrici e termici, flussi di materiali, servizi in outsourcing e principali categorie di Scope 3.
3, Raccolta dati e qualità
Definisci le fonti informative: contabilità energetica, fatture, sistemi di monitoraggio, gestionali acquisti, piattaforme logistiche. Per lo Scope 3 attiva questionari fornitori e utilizza dataset riconosciuti quando i dati primari mancano. Documenta la qualità dei dati con criteri di completezza, accuratezza e coerenza.
4, Fattori di emissione e calcoli
Seleziona fattori di emissione riconosciuti, coerenti con l’area geografica e l’anno di riferimento. Per l’elettricità distingui calcoli location-based e market-based, tracciando contratti e garanzie di origine. Rendi trasparenti formule, assunzioni e limiti.
5, Verifiche interne e riconciliazioni
Esegui controlli incrociati con la contabilità e con i dati tecnici, valida scostamenti, redigi un registro delle evidenze che colleghi ogni numero alla sua fonte. Questo dossier servirà per l’eventuale assurance.
6, Piano di riduzione e target
Usa i risultati dell’inventario per definire obiettivi di breve e medio periodo, selezionando le leve più efficaci: efficienza energetica, elettrificazione, energia rinnovabile, ottimizzazione logistica, revisione di materiali ad alta intensità emissiva, coinvolgimento fornitori.
7, Report e integrazione con il report di sostenibilità
Confluisci l’inventario nel reporting di sostenibilità con tabelle, KPI assoluti e di intensità, note metodologiche chiare e una sezione su confini, fonti, fattori di emissione e incertezze. Il risultato è un bilancio di sostenibilità con numeri robusti e replicabili.
Carbon footprint di prodotto secondo ISO 14067
Quando l’obiettivo è confrontare materiali e soluzioni progettuali, accedere a programmi di etichettatura ambientale o rispondere a richieste specifiche dei clienti, la strada corretta è la carbon footprint di prodotto secondo ISO 14067. La metodologia si basa su un’analisi del ciclo di vita con definizione di unità funzionale, confini del sistema e regole di calcolo coerenti con ISO 14040/44.
Le scelte principali riguardano il perimetro, che può essere culla-cancello per valutare fino all’uscita dallo stabilimento oppure culla-tomba per includere uso e fine vita, e la selezione di dataset primari e secondari. L’esito non è solo un numero, ma un quadro per il miglioramento: individua le fasi più impattanti e orienta priorità tra approvvigionamenti, processi, progettazione e packaging. Se esistono regole di categoria di prodotto, applicarle aumenta comparabilità e credibilità del confronto.
PEF e Made Green in Italy: quando servono e come si integrano con ISO 14067
Il metodo PEF nasce in ambito europeo per valutare l’impatto ambientale dei prodotti su più categorie e, quando supportato da PEFCR, consente confronti più affidabili entro la stessa categoria merceologica. Made Green in Italy è il programma nazionale che valorizza dichiarazioni ambientali basate su approcci coerenti con il PEF e prevede un marchio per i prodotti che soddisfano determinati requisiti.
La scelta tra ISO 14067 e PEF dipende dallo scopo. Se serve una quantificazione focalizzata sul clima per decisioni di eco-design o richieste di clienti, la ISO 14067 è più diretta. Se l’obiettivo è una comunicazione ambientale più ampia o l’accesso a schemi nazionali e di filiera, il PEF e i relativi documenti di categoria sono un’opzione da valutare. Le due strade non si escludono: spesso si procede con la CFP per guidare le decisioni tecniche e, se richiesto dal mercato, si integra lo studio con regole PEF.
Dati difficili e Scope 3: come affrontare le aree più critiche
La parte più complessa della carbon footprint è spesso lo Scope 3, perché coinvolge attori esterni e dati che non transitano nei sistemi interni. Per evitare di paralizzarsi di fronte alla complessità conviene adottare tre principi:
- Materialità e priorità: parti dalle categorie che contano davvero per il tuo settore, ad esempio acquisti o trasporti.
- Gradualità e trasparenza: usa proxy e dataset riconosciuti quando mancano dati primari, documentando limiti e piani di miglioramento pluriennale.
- Coinvolgimento della filiera: invia questionari essenziali, spiega come calcolare le emissioni e integra le richieste climatiche nei processi di qualifica fornitori.
Così, a ogni ciclo annuale si alza la qualità dei dati e cresce la credibilità della traiettoria di riduzione.
Benefici concreti per l’impresa
Misurare e gestire la carbon footprint genera benefici misurabili.
- Economici: la mappatura di consumi e inefficienze individua opportunità di risparmio energetico e logistico che spesso ripagano rapidamente l’investimento.
- Commerciali: un’impronta di carbonio verificabile aumenta i punteggi in gara, semplifica l’ingresso in filiere esigenti e velocizza le risposte a questionari ESG.
- Finanza: un inventario GHG ben strutturato facilita il dialogo con banche e investitori e l’accesso a strumenti legati alla transizione.
- Governance: l’integrazione con il reporting di sostenibilità rende coerenti obiettivi, piani e risultati, riducendo il rischio di incoerenze tra dichiarazioni e numeri.
- Reputazione: la capacità di comunicare dati, metodi e limiti con trasparenza crea fiducia e differenzia l’azienda.
Costi, tempi e risorse: cosa aspettarsi davvero
Un progetto di carbon footprint aziendale ha costi e tempi proporzionati a dimensione, numero di siti, profondità dello Scope 3 e qualità dei dati. Per un’organizzazione di medie dimensioni con pochi stabilimenti e una prima mappatura di fornitori, una prima misurazione può richiedere otto-dodici settimane tra avvio, raccolta dati, calcoli, verifiche e redazione del report interno, con effort crescente se la filiera è ampia e frammentata.
La richiesta di verifica indipendente secondo ISO 14064-1 aggiunge attività di preparazione del fascicolo e interlocuzione con il verificatore, ma incrementa in modo significativo la credibilità verso clienti e istituti finanziari.
Per la carbon footprint di prodotto, i tempi dipendono da complessità del ciclo di vita, disponibilità di dati primari e numero di varianti da confrontare. Conviene inserire lo studio CFP nelle fasi di sviluppo prodotto per massimizzarne il valore decisionale.
Sul fronte risorse, servono un referente interno con capacità di coordinamento e di lettura dei dati, il supporto di energia, acquisti, logistica e finanza e, quando necessario, specialisti LCA e GHG per accelerare la fase metodologica e assicurare conformità agli standard.
Strumenti, fattori di emissione e qualità del dato
Scegliere strumenti adeguati evita errori e perdite di tempo. Un buon sistema per l’inventario GHG deve consentire la raccolta dei dati per sito e per fonte emissiva, gestire fattori di emissione aggiornati e distinguere calcoli location-based e market-based per l’energia elettrica. Per lo Scope 3 è utile una funzione di gestione fornitori, con questionari e controlli di coerenza.
La qualità dei dati si governa con tre criteri: completezza, accuratezza, coerenza. Ogni assunzione deve essere documentata in una nota metodologica. Quando si usano dataset secondari per materiali o processi, seleziona banche dati riconosciute, coerenti con area geografica e anno di riferimento, e aggiorna le serie con cadenza definita.
IA e carbon accounting: cosa è utile davvero
Le tecnologie basate su intelligenza artificiale possono accelerare la raccolta e il controllo dei dati, evidenziare anomalie, suggerire completamenti coerenti e simulare scenari di riduzione. L’IA è efficace nella normalizzazione dei dati provenienti da fonti eterogenee e nella previsione dei consumi in base a driver di attività.
Ricorda però che la responsabilità metodologica non si esternalizza: scelta dei confini, fattori di emissione e criteri di stima restano in capo all’azienda. Gli algoritmi aiutano, ma non sostituiscono il rigore del metodo e la verifica da parte di professionisti qualificati.
Servizi professionali: come lavoriamo sulla tua carbon footprint
Offriamo un percorso completo, modulare e proporzionato.
- Diagnosi iniziale: allineiamo obiettivi e perimetro, individuiamo le categorie Scope più materiali e definiamo un piano realistico di raccolta dati.
- Inventario GHG secondo ISO 14064-1: mappatura processi, definizione fattori di emissione, allestimento dossier per la verifica.
- CFP ISO 14067: studi basati su LCA per eco-design, confronti tra alternative e richieste clienti.
- Piani di riduzione: selezione leve efficaci per costo e impatto atteso.
- Integrazione nel report di sostenibilità: tabelle, KPI e note metodologiche per un reporting di sostenibilità coerente.
- Programmi PEF / Made Green in Italy: supporto all’accesso e all’eventuale certificazione.
- Formazione: moduli per energia, acquisti, logistica e finanza per consolidare competenze interne.
Roadmap di avvio in quattro settimane
Settimana 1: governance del progetto, definizione perimetro e raccolta dei documenti disponibili
Settimana 2: mappatura delle fonti emissive per Scope, impostazione del registro dati, avvio questionari fornitori
Settimana 3: caricamento sistematico dei dati, applicazione fattori di emissione, primi calcoli e controlli incrociati
Settimana 4: validazione interna, preparazione delle tabelle e delle note metodologiche, definizione di un piano di riduzione con responsabilità e obiettivi
Al termine, l’azienda dispone di un inventario GHG ripetibile, di una base numerica per decisioni e di un pacchetto informativo pronto per clienti, gare e banche.
Errori da evitare
Ci sono sei errori ricorrenti che penalizzano la qualità del lavoro e la reputazione aziendale.
- Confondere il calcolo con la comunicazione e curare solo l’aspetto editoriale senza una base numerica tracciabile.
- Estendere i confini senza una valutazione di materialità, disperdendo risorse su categorie marginali.
- Sottovalutare lo Scope 3 e la dimensione fornitori, senza un piano graduale per ottenere dati migliori.
- Cambiare metodologie e fattori ogni anno senza documentare gli effetti, rendendo difficile il confronto.
- Bloccare progetti e investimenti in attesa di dati perfetti: serve un percorso in cui qualità e copertura crescono per cicli successivi.
- Trascurare il collegamento con il bilancio di sostenibilità, perdendo coerenza complessiva e opportunità di valorizzare i risultati.
FAQ sul carbon footprint
Qual è la differenza tra ISO 14064-1 e ISO 14067?
La ISO 14064-1 riguarda l’inventario dei gas serra a livello di organizzazione e fornisce i principi per quantificare, rendicontare e, se necessario, sottoporre a verifica indipendente le emissioni e le rimozioni. La ISO 14067 riguarda la carbon footprint di prodotto e richiede un’impostazione LCA, con definizione dell’unità funzionale, dei confini e dei dataset primari e secondari. Le due norme rispondono a esigenze diverse e possono convivere, a seconda che tu debba monitorare l’azienda nel suo complesso o confrontare prodotti e scelte progettuali.
Lo Scope 3 è obbligatorio per tutti?
Se vuoi una rappresentazione completa dell’impronta di carbonio aziendale, lo Scope 3 è parte integrante dell’inventario. La copertura e la profondità dipendono dalla materialità e dalla disponibilità dei dati. Si parte dalle categorie più rilevanti e si amplia il perimetro negli anni, con un piano dati che coinvolge la filiera.
Quanto tempo serve per una prima misurazione?
Dipende da dimensione, numero di siti e profondità dello Scope 3. In molte aziende medie, una prima misurazione organizzativa richiede da otto a dodici settimane. Se la catena di fornitura è estesa o i dati sono dispersi, i tempi aumentano. La carbon footprint di prodotto ha tempi legati alla complessità del ciclo di vita e alla disponibilità di dati primari.
Serve la verifica esterna?
Non sempre è obbligatoria, ma aggiunge valore nei rapporti con clienti, gare e banche. La verifica indipendente secondo ISO 14064-1 o la revisione di uno studio ISO 14067 rafforza credibilità e affidabilità, specialmente quando la carbon footprint entra in decisioni economiche o comunicazioni al pubblico.
Come collego i risultati al bilancio di sostenibilità?
Predisponi tabelle e note metodologiche coerenti, con KPI assoluti e di intensità, una sezione dedicata ai confini e ai fattori di emissione e un paragrafo che descriva obiettivi, piani e risultati. Integrare la carbon footprint nel report di sostenibilità favorisce coerenza interna e rende più solide le dichiarazioni verso stakeholder e mercato.
Posso comunicare di essere carbon neutral?
La neutralità climatica richiede prima riduzioni reali, poi eventuali compensazioni di qualità per le emissioni residue, con trasparenza su criteri, quantità e progetti. I claim devono essere supportati da dati e metodologie solide per evitare rischi reputazionali e legali.
Consulenza carbon footprint
L’importanza di un’accurata valutazione e analisi del carbon footprint è fondamentale per qualsiasi entità, sia essa un’azienda o un individuo, che desidera operare in modo sostenibile e responsabile. Quest’ultimo non è solo un indicatore del nostro impatto ambientale, ma è anche un potente strumento per implementare strategie efficaci di riduzione delle emissioni e per migliorare l’efficienza e la sostenibilità operativa.
In questo contesto, affidarsi a un partner esperto è cruciale. Stillab si posiziona come un partner competente e affidabile per la stesura e realizzazione del vostro report dell’impronta del carbonio.
Il nostro team di esperti è dedicato a fornire soluzioni su misura per ogni cliente, garantendo un’analisi dettagliata, affidabile e conforme agli standard internazionali. Con Stillab, avrai la certezza di un supporto continuo e personalizzato, che ti guiderà in ogni fase del processo di valutazione e riduzione del tuo carbon footprint, permettendoti di raggiungere i tuoi obiettivi di sostenibilità con sicurezza e serenità.